La malattia delle “ossa fragili”. È così che viene definita l’osteoporosi, una delle patologie a carico delle ossa, che si stima abbia colpito più di 22 milioni di donne e più di 5 milioni di uomini in tutta Europa. Si sviluppa silenziosamente e si manifesta solitamente dopo la menopausa nelle persone di sesso femminile e dopo i 60 anni in quelle di sesso maschile. La cura dell’osteoporosi attualmente disponibile è una terapia a base di farmaci, denominati Bisfosfonati, a cui vengono associati una dieta specifica, calcio e vitamina D. Ma la ricerca sta continuando a valutare e sviluppare nuove opportunità.
Osteoporosi: le cause
Il picco di massa ossea si sviluppa durante i primi 20 anni di vita, mentre fino ai 30 anni si accumula la maggior quantità di minerali all’interno dell’osso. L’osso essendo ricco di vasi sanguigni e nervi si rigenera continuamente, ma dopo i 30 la massa ossea inizia, più o meno lentamente, a ridursi. Questo fenomeno di formazione che avviene a livello scheletrico è definito “rimodellamento osseo” ed è opera di due cellule distinte: osteoblasti e osteoclasti. Gli osteoblasti sono le cellule “buone” ovvero quelle cellule che hanno il compito di ricostruire il tessuto che gli osteoclasti, detti anche cellule “cattive”, hanno precedentemente eliminato, perché vecchio.
La patologia si presenta come un disordine del tessuto scheletrico, dato dalla perdita di massa ossea e, allo stesso tempo, dalla trasformazione della microarchitettura dell’osso stesso. Gli osteoblasti non riescono più a compensare l’attività degli osteoclasti. Questo fenomeno causa una fragilità importante, con un elevato rischio di frattura, a volte anche senza un trauma diretto. Le ossa infatti diventano meno compatte e più porose; non c’è più equilibrio di tessuto osseo rigenerato e tessuto demolito.
L’osteoporosi viene distinta in due tipi: primaria– di I tipo, II tipo e idiopatica- e secondaria. L’osteoporosi primaria idiopatica risulta essere molto rara: colpisce infatti ragazzi o bambini. Le altre due forme interessano rispettivamente:
- soggetti tra i 60 e i 75 anni di età, a causa dell’abbassamento delle misure di difesa degli ormoni;
- individui con più di 60 anni, come conseguenza del naturale processo di invecchiamento.
L’osteoporosi secondaria si verifica per diversi motivi, come conseguenza di altre patologie o a causa dell’utilizzo di alcuni farmaci. Riguarda appena il 5% dei casi.
Come abbiamo già sottolineato, le donne sono maggiormente a rischio osteoporosi perché, a seguito della menopausa, la produzione degli estrogeni diminuisce. Questi ormoni hanno infatti anche delle funzioni protettive nei confronti delle ossa. Negli uomini invece ad influire sullo sviluppo della patologia è il calo di testosterone.
Ci sono però anche degli altri fattori che possono incidere sulla probabilità di sviluppare la patologia, come, ad esempio, familiarità oppure una storia pregressa di frattura. Anche una dieta non equilibrata, povera di calcio e vitamina D, oppure l’abuso di alcool e caffè possono avere delle ripercussioni sulla salute delle ossa. Inoltre l’utilizzo di alcuni medicinali, una scarsa attività fisica, un eccessivamente basso o elevato peso corporeo, il fumo e l’asportazione delle ovaie possono influire sul rischio collegato all’osteoporosi.
I sintomi più frequenti
I sintomi della malattia spesso si manifestano quando si trova già a uno stadio avanzato. Dei campanelli d’allarme sono le fratture che avvengono anche senza traumi seri: a volte basta un movimento più brusco oppure un passo falso, addirittura uno starnuto più violento.
Le ossa che solitamente vengono interessate da queste fratture sono i polsi, l’anca, il bacino, la colonna vertebrale, la spalla oppure il femore. Alcune volte i sintomi possono essere ricollegati a dolori intensi e persistenti. Se invece l’osteoporosi ha attaccato le vertebre, una delle prime avvisaglie è la riduzione dell’altezza dovuta allo schiacciamento, con conseguenti contratture della muscolatura paravertebrale e dolore cronico.
Come prevenire la patologia
La prevenzione per l’osteoporosi ha tre passaggi fondamentali: una corretta alimentazione, che preveda l’assunzione giornaliera di calcio e di vitamina D; un’attività fisica costante; uno stile di vita sano.
Secondo l’Istituto Superiore della Sanità, un allenamento adeguato prevede 150 min. di un’attività moderata oppure 75 di una più energica, insieme a esercizi specifici per rafforzare i muscoli, da svolgere due volte a settimana. Inoltre è consigliabile evitare il consumo eccessivo di alcolici e il fumo. Entrambi agiscono a livello di osteoblasti e osteoclasti, favorendo le cellule che eliminano il tessuto osseo a discapito delle altre che lo rigenerano. Anche mantenere il proprio peso forma può essere un modo per prevenire l’osteoporosi: sia l’eccessiva magrezza che l’obesità sono fattori che predispongono alla malattia.
La cura dell’osteoporosi
Come altre patologie, l’osteoporosi richiede un intervento tempestivo, prima che la situazione generale sia già compromessa. Le cure e le terapie disponibili infatti possono solo bloccarne la progressione.
Se si hanno fattori predisponenti, oppure se sono avvenuti episodi di cadute accidentali, è utile effettuare degli esami per riuscire a diagnosticarla il prima possibile. L’esame di riferimento è la densitometria ossea (conosciuta anche con la sigla MOC), ma possono essere richiesti anche una radiografia oppure degli esami di laboratorio di sangue e urine per valutare alcuni parametri (come calcio, fosforo, vitamina D). In alcune circostanze il medico potrebbe valutare anche una TAC oppure una risonanza magnetica.
Una volta individuata la patologia, va valutata la sua gravità, oltre alle caratteristiche del paziente ed eventuali altri fattori di rischio. Per la cura dell’osteoporosi oggi vengono usati farmaci che possono rivelarsi molto efficaci, a cui viene abbinata una dieta specifica oppure integratori di calcio e vitamina D. Alcuni di questi medicinali vanno assunti quotidianamente, mentre per altri non è necessario e hanno una differente posologia: tutti però perseguono l’obiettivo di migliorare la qualità di vita dei pazienti.
Le cure ad oggi più diffuse prevedono l’assunzione di estrogeni, che tende a rallentare il processo scaturito dall’osteoporosi. Oppure di medicinali agonisti del recettore estrogenico, che agiscono con un effetto simile a quello degli estrogeni, come ad esempio il Raloxifene. Vengono utilizzati inoltre anche i farmaci bifosfonati, che mirano invece a contrastare la fragilità ossea e la decalcificazione delle ossa, soprattutto nella donna dopo la menopausa.
La ricerca, una speranza per nuove terapie
Ci sono vari filoni di ricerca per quanto riguarda la cura dell’osteoporosi. I tre più recenti stanno studiando delle possibilità in campi totalmente differenti tra loro.
Il primo studio, pubblicato sulla rivista eLife Sciences, è stato condotto dal team di ricerca del Children’s Medical Center Research Institute della Università del Texas UT Southwestern a Dallas. Il team ha scoperto una molecola in grado di stimolare la ricrescita dell’osso e far retrocedere la malattia. La molecola in questione è l’osteolectina (Clec11a), che viene prodotta dal midollo osseo e dalle ossa.
Gli esperimenti condotti sui topi hanno mostrato come questa proteina sia in grado di formare del nuovo tessuto osseo a partire dalle cellule staminali dell’osso stesso. Eliminando il gene dell’osteolectina, topi del tutto sani iniziano a perdere massa ossea molto rapidamente, come potrebbe accadere durante l’invecchiamento. Questa scoperta, che deve essere comunque supportata da altri dati ed esperimenti, potrebbe aprire le porte a nuove terapie create appositamente per curare l’osteoporosi.
Il progetto BOOST, coordinato dal Politecnico di Torino e a cui collaborano anche il centro di ricerca E.Piaggio dell’Università di Pisa, l’Istituto ortopedico Rizzoli e l’Università Politecnica delle Marche, sta invece studiando un nanomateriale che possa “ingannare” le cellule ossee invecchiate, ricreando lo stesso microambiente delle ossa sane. Lo scopo è ripristinare l’equilibrio tra l’attività degli osteoblasti e gli osteoclasti attraverso la realizzazione di uno “scaffold”, ossia di una struttura intelligente con gli stessi stimoli sia fisici, che meccanici e chimici di un osso sano. Questa ricerca propone un approccio diverso da quello classico, focalizzato sui farmaci, con cui eventualmente potrebbe anche essere integrato.
La ricerca più particolare e anche innovativa per la cura dell’osteoporosi è sicuramente quella che sta portando avanti un team dell’Università di Bari nello spazio. Alcuni campioni biologici sono stati mandati presso la Stazione Spaziale Internazionale per studiare gli effetti provocati dall’assenza di gravità e la risposta dell’irisina, una molecola prodotta dai muscoli durante l’attività fisica, che studi precedenti hanno dimotrato essere in grado di indurre la formazione di nuovo osso. L’apparato muscolo-scheletrico di un astronauta, infatti, invecchia molto rapidamente durante le missioni: l’osteoporosi da loro sviluppata in un mese è paragonabile a quella di un intero anno di una donna in post-menopausa.
I test nello spazio permettono di avere un riscontro più rapido, ma allo stesso tempo riproducono gli effetti che la sedentarietà e l’invecchiamento causano sulla terra. Un’indagine dal duplice scopo: aiutare gli astronauti per le loro future missioni e sviluppare una cura per l’osteoporosi.
L’osteoporosi compromette la qualità di vita delle persone colpite, ma non solo. Le fratture da ossa fragili sono una delle cause più importanti di perdita di indipendenza e persino di disabilità a lungo termine, arrivando anche a mettere in pericolo la vita del paziente. Per questo è necessario sostenere e portare avanti la ricerca, ma considerare la prevenzione attraverso un corretto stile di vita, come punto di partenza.
Leggi anche la nostra guida: Prevenzione dell’osteoporosi: tutto quel che c’è da sapere
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